La Trilogia d’Autunno dal 12 al 16 novembre
Tre titoli che si susseguono un giorno dopo l’altro sullo stesso palcoscenico, un agile e flessibile meccanismo scenico, uno staff tecnico collaudato e pronto a ogni invenzione: è il marchio inconfondibile della Trilogia d’Autunno, sin dal 2012 irrinunciabile appendice del Festival votata a epoche e linguaggi diversi del teatro musicale. Quest’anno, dal 12 al 16 novembre, la Trilogia d’Autunno – intitolata L’invisibil fa vedere Amore – è interamente dedicata a Händel, uno degli indiscussi padri della nostra musica, compositore inarrivabile e genio drammatico; coetaneo di Bach e allo stesso modo grande e moderno. Dopo aver affrontato Monteverdi e Purcell, Pier Luigi Pizzi e Ottavio Dantone alla guida di Accademia Bizantina tornano a lavorare insieme per due nuove produzioni di Orlando (12, 14 novembre alle 20) e Alcina (13, 15 novembre alle 20). La Trilogia si completa con il Messiah (16 novembre alle 17), con Dantone nuovamente alla guida della Bizantina e il Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini, preparato da Lorenzo Donati. La Trilogia d’Autunno 2025 è realizzata con il sostegno del Comune di Ravenna, della Regione Emilia-Romagna e del Ministero della Cultura e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna; Eni è partner principale di Ravenna Festival.
«Quel che l’uom vede, Amor gli fa invisibile, e l’invisibil fa vedere Amore»: amore e follia, coraggio e visionarietà, passioni intrecciate che animano gli eroi immortali del celeberrimo poema di Ariosto, l’Orlando furioso, fonte delle opere di Händel. Eroi colti nel lato più fragile della loro umanità, esposti al potere dell’amore che toglie il lume della ragione, e a quello della magia che ne sconvolge gli intenti. Eroi che nella follia riescono ad andare oltre il peso materiale del vivere, e a trascendere il reale fino a comprenderlo nella sua essenza e a immaginare quel mondo ideale, forse irraggiungibile ma che è il motore di ogni progresso – quanta attualità a quasi tre secoli dalla composizione in Orlando e Alcina! Ma anche in quel Messiah che, nella mirabile commistione di tutti gli stili europei, continua a infondere speranza agli uomini di oggi.
Seppure oggetto di appena una decina di repliche, poi dimenticato per quasi due secoli (fino alla ripresa del 1922), Orlando è senza dubbio uno dei capolavori di Händel, che lo mette in scena sul palcoscenico del King’s Theatre nel gennaio del 1733. Trasfigurando in musica il poema cavalleresco di Ariosto, Orlando si inserisce in una lunga tradizione ma nel segno di una straordinaria spinta innovativa e di una libertà formale del tutto inconsueta. E soprattutto efficacissima nel dare forma ai tormenti del protagonista, dalle pagine eroiche all’eloquenza drammatica della scena della pazzia. C’è Filippo Mineccia nei panni del paladino Orlando, perdutamente innamorato di Angelica (Francesca Pia Vitale), la principessa del Catai a sua volta legata al giovane saraceno Medoro (Elmar Hauser), di cui è invaghita anche la pastorella Dorinda (Martina Licari). Solo con l’intervento del mago Zoroastro (Christian Senn), Orlando ritornerà in sé.
Händel torna ad attingere al poema dell’Ariosto due anni più tardi, nel 1735, quando ha da poco inaugurato la sua collaborazione con il nuovo teatro londinese del Covent Garden. Sempre nell’Orlando furioso, il cavaliere Ruggiero approda sulla misteriosa isola della bellissima e potente fata Alcina, le cui arti magiche trasformano un luogo deserto e desolato in un regno di delizie. Tra inganni e disvelamenti, innamoramenti e repentini abbandoni, Alcina si dipana lungo un disegno drammaturgico musicale capace di dar conto di tutte le sfumature emotive. I ruoli di Alcina e Ruggiero sono affidati rispettivamente a Giuseppina Bridelli ed Elmar Hauser, mentre Delphine Galou è Bradamante, promessa sposa del paladino che raggiunge l’isola nascondendosi sotto l’identità del fratello Ricciardo, accompagnata dal confidente Melisso (Christian Senn). La sorella di Alcina, Morgana, è interpretata da Martina Licari e il capo delle sue guardie Oronte è Žiga Čopi.
È proprio il convergere della passione luterana, dell’oratorio italiano e dell’anthem corale inglese a dar vita a quel polittico musicale che, fin dalla prima esecuzione a Dublino nel 1742, «sfugge dalle mani del suo autore ed entra nella leggenda e nel mito» (Alberto Basso). Il Messiah è una luminosa rappresentazione del dramma del Cristianesimo carica di umanità e commozione, ma anche di un eloquio prezioso e sapiente, che si traduce in una allegoria capace di trascinare l’ascoltatore fuori dal tempo e dalla storia. Solisti per questa performance Alysia Hanshaw, Delphine Galou, Žiga Čopi e Christian Senn.